Egregi «tenutari»,
vi scrivo dal mio nuovo ufficio londinese, a pochi passi da Victoria Station.
Da quando mi sono trasferita, per ovvie ragioni ho sospeso (o forse lasciato ? abbandonato, temporaneamente messo da parte ? non saprei...) la professione che ci ha accomunato per alcuni anni. Potete immaginare quale immane sforzo mi sia costato dover rinunciare al mio contratto di «collaborazione coordinata e continuativa», ai 5 euro scarsi per articolo, alle misere lotte intestine e alle serate passate a rimediare a «buchi» e incidenti stradali per approdare ad una realtà del tutto nuova. Una realtà fatta di riconoscimento dei meriti (ricordate la «meritocrazia» che negli ultimi anni era diventata una cosa aliena, tanto volevano farci credere fosse «una cosa di destra»...) di opportunità, di valorizzazione delle risorse umane. Una realtà dove, se lavori tanto e bene - poco importa se lavi i piatti o servi pizze - in sei mesi puoi diventare qualunque altra cosa tu voglia.
Io ho riscoperto la categoria della possibilità.
Mi spiego meglio. Quanti di voi, pur essendo ottime penne e teste brillanti, possono sperare di ottenere nei prossimi mesi una promozione a redattore, caporedattore o caposervizio ?
La risposta la sappiamo bene tutti quanti: ci mettereste tutti la firma ad essere per lo meno «assunti», poco importa con che qualifica. E per questo sareste anche disposti ad aspettare uno, due o cinque anni. Non è così ?
Immagino di sì. E non vi biasimo. Perche' amate questa professione e, forse piu' di me, siete disposti ad accettare la mortificazione di alcuni diritti, pur di esercitare questo splendido mestiere. Davvero vi ammiro per questo spirito di abnegazione. Io ho mollato questa realtà di contratti «co.co.co», di redattori affetti da disturbi lessicali, di caposervizi proni e servili al potere di turno (e a quello di sempre, ovviamente !) per intraprendere una nuova sfida. E Londra si è rivelata la realtà giusta con cui misurarmi. Immagino sorriderete - qualcuno storcerà il naso - se vi racconto che, appena arrivata a Londra, per le prime settimane ho lavorato in un negozio di formaggi e salumi (e vi assicuro che affettare il prosciutto crudo può essere più difficile che scrivere un pezzo di giudiziaria: almeno in termini di incidenza del rischio di brusca riduzione del numero di dita) Eh già, la Correra se n’è andata a fare la salumaia….
«Era ora», dirà qualcuno….O forse no.
Il punto è che nel giro di un mese ho trovato un altro lavoro senza dover ricorrere ad «amicizie, conoscenze, raccomandazioni»: solo i miei titoli, le mie capacità, il mio curriculum. E la mia testa.
Già, la mia testa dura.
Vivo qui a Londra da otto mesi: ho fatto la salumara, la cameriera e adesso ho appena ricevuto la promozione ad «Assistant Manager» in una grossa compagnia alberghiera e lavoro nel più grande dei cinque hotel che la compagnia possiede qui a Londra, il Park Plaza Victoria Hotel. Contratto a tempo indeterminato sin dal primo mese, possibilità di carriera e formazione. Per dirne una: la compagnia ha selezionato solo sei tra tutti i dipendenti di Londra (circa un migliaio) ai quali si e' offerta di pagare le tasse per il corso NVQ, (un corso di laurea in Management). Io sono tra quei sei.
Cosa farò domani non lo so. Di certo non rinuncerò al mio nuovo stipendio (soldi sicuri, non come quelli che ancora aspetto da certi disonorevoli editori locali…) e al riconoscimento dei meriti per tornare a lavorare senza garanzie, sottopagata, con un contratto di merda, il tutto per fare arricchire l’editore di turno. E che non si trattino argomenti scomodi, per carita ! Sennò al direttore arrivano le telefonate del presidente, senatore, dell'onorevole….
Sarà un piacere scambiare opinioni serie e semiserie con tutti voi.
Un abbraccio
Al.Co.
(Era da tanto che non mi firmavo così !)
vi scrivo dal mio nuovo ufficio londinese, a pochi passi da Victoria Station.
Da quando mi sono trasferita, per ovvie ragioni ho sospeso (o forse lasciato ? abbandonato, temporaneamente messo da parte ? non saprei...) la professione che ci ha accomunato per alcuni anni. Potete immaginare quale immane sforzo mi sia costato dover rinunciare al mio contratto di «collaborazione coordinata e continuativa», ai 5 euro scarsi per articolo, alle misere lotte intestine e alle serate passate a rimediare a «buchi» e incidenti stradali per approdare ad una realtà del tutto nuova. Una realtà fatta di riconoscimento dei meriti (ricordate la «meritocrazia» che negli ultimi anni era diventata una cosa aliena, tanto volevano farci credere fosse «una cosa di destra»...) di opportunità, di valorizzazione delle risorse umane. Una realtà dove, se lavori tanto e bene - poco importa se lavi i piatti o servi pizze - in sei mesi puoi diventare qualunque altra cosa tu voglia.
Io ho riscoperto la categoria della possibilità.
Mi spiego meglio. Quanti di voi, pur essendo ottime penne e teste brillanti, possono sperare di ottenere nei prossimi mesi una promozione a redattore, caporedattore o caposervizio ?
La risposta la sappiamo bene tutti quanti: ci mettereste tutti la firma ad essere per lo meno «assunti», poco importa con che qualifica. E per questo sareste anche disposti ad aspettare uno, due o cinque anni. Non è così ?
Immagino di sì. E non vi biasimo. Perche' amate questa professione e, forse piu' di me, siete disposti ad accettare la mortificazione di alcuni diritti, pur di esercitare questo splendido mestiere. Davvero vi ammiro per questo spirito di abnegazione. Io ho mollato questa realtà di contratti «co.co.co», di redattori affetti da disturbi lessicali, di caposervizi proni e servili al potere di turno (e a quello di sempre, ovviamente !) per intraprendere una nuova sfida. E Londra si è rivelata la realtà giusta con cui misurarmi. Immagino sorriderete - qualcuno storcerà il naso - se vi racconto che, appena arrivata a Londra, per le prime settimane ho lavorato in un negozio di formaggi e salumi (e vi assicuro che affettare il prosciutto crudo può essere più difficile che scrivere un pezzo di giudiziaria: almeno in termini di incidenza del rischio di brusca riduzione del numero di dita) Eh già, la Correra se n’è andata a fare la salumaia….
«Era ora», dirà qualcuno….O forse no.
Il punto è che nel giro di un mese ho trovato un altro lavoro senza dover ricorrere ad «amicizie, conoscenze, raccomandazioni»: solo i miei titoli, le mie capacità, il mio curriculum. E la mia testa.
Già, la mia testa dura.
Vivo qui a Londra da otto mesi: ho fatto la salumara, la cameriera e adesso ho appena ricevuto la promozione ad «Assistant Manager» in una grossa compagnia alberghiera e lavoro nel più grande dei cinque hotel che la compagnia possiede qui a Londra, il Park Plaza Victoria Hotel. Contratto a tempo indeterminato sin dal primo mese, possibilità di carriera e formazione. Per dirne una: la compagnia ha selezionato solo sei tra tutti i dipendenti di Londra (circa un migliaio) ai quali si e' offerta di pagare le tasse per il corso NVQ, (un corso di laurea in Management). Io sono tra quei sei.
Cosa farò domani non lo so. Di certo non rinuncerò al mio nuovo stipendio (soldi sicuri, non come quelli che ancora aspetto da certi disonorevoli editori locali…) e al riconoscimento dei meriti per tornare a lavorare senza garanzie, sottopagata, con un contratto di merda, il tutto per fare arricchire l’editore di turno. E che non si trattino argomenti scomodi, per carita ! Sennò al direttore arrivano le telefonate del presidente, senatore, dell'onorevole….
Sarà un piacere scambiare opinioni serie e semiserie con tutti voi.
Un abbraccio
Al.Co.
(Era da tanto che non mi firmavo così !)
18 commenti:
E poi sono sterline, quando verrai in Sicilia, al cambio sarai più ricca!!!
CIAO Al.co.
In bocca al lupo!!!
Ci vuole coraggio. Tu ne hai sempre avuto molto.
Ti auguro la felicità che meriti.
Con l'affetto di sempre
Isabella
Ecco dove eri finita... in bocca al lupo e rimani da queste parti così almeno uno sa come beccarti... ciao!
Ciao Al.co,
direi che nella tua esperienza hai toccato con mano le differenze nel mondo lavorativo tra l'approccio anglosassone-protestante (meritocrazia, pari opportunità, misurazione delle capacità "sul campo") e l'approccio latino-cattolico, tra l'altro declinato nella sua variante siciliana quindi con tutte le sfumature clientelari, nepotistiche, massoniche e lobbistiche. Lavorare percependo il giusto compenso, ottenendo le meritate occasioni è prima di tutto riappropriarsi della propria dignità di essere umano e della libertà (chi non ha 50 euro in tasca non è un uomo libero, piaccia o no); cose più "sofisticate" come gratificazione professionale, gusto dello scambio internazionale sono aspetti di secondo ordine. Purtroppo tante teste e professionalità siciliane, dopo tanti anni di lavorare nelle condizioni che citavi perdono anche la memoria teorica (quella reale probabilmente non c'è mai stata) di cosa può significare lavorare e crescere in condizioni "normali" atrofizzandosi, anestetizzandosi e, ad un certo punto, non più capaci di svincolarsi da certa melassa socio-economica o addirittura confondendosi e diventando parte di essa. Ti auguro tutto il meglio, Lelio.
Ciao Alessia sono Dario...ricordi il collega di RMC101! Hai fatto una scelta coraggiosa però se veramente ami il giornalismo non credo che riuscirai a resistere per molto tempo senza esercitare...
Cmq., in bocca al lupo! ciao
Preliminarmente un grazie (sentito) a Lelio per il suo bel contributo da "esterno".
Provo a spostare leggermente i termini della questione posta da Alessia, soffermandomi sugli aspetti inerenti la nostra professione. Ribadisco, in questa sede, quanto ho già avuto modo di dire altrove, giacché se vogliamo far chiarezza dobbiamo avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Ragion per la quale non è possibile eludere una questione che ritengo di capitale importanza per comprendere appieno ciò di cui trattiamo. Troppa gente pretende di scrivere, troppa gente scrive; troppa gente pretende di fare il giornalista, troppa gente fa il gionalista. E senza che sia il medico a prescriverglielo...
Prima o poi, presto o tardi, infatti, dovremo discutere (ma seriamente e se i soloni del Parlamento avranno la bontà di concederci il loro «placet») di alcune questioni di natura diciamo «strutturale». Perché l'Ordine – lo sappiamo tutti – va riformato. Perché l'accesso alla professione – lo sanno cani e porci – va riformato. E perché – non me ne vogliano quelli che fanno i giornalisti per "hobby" (ma si può, porcaccia trota, fare il giornalista per "hobby"?) – chi fa altri lavori (e di quelli campa), non pretenda pure d'avere il tesserino solo per poterlo esibire ai compari di processione (sia detto senza alcun intento offensivo per chi, devotamente, segue i fercoli coi santi). Costoro, mi spiace dirlo, sono tra i principali responsabili dell'inflazione del mercato giornalistico e, di conseguenza, dei compensi da fame elargiti da editori fin troppo furbi. Sono tra i principali responsabili perché si offrono, spesso per cifre risibili, ad editori che non aspettano altro. Perché il loro unico scopo (l'unica ragione per la quale scrivono) è vedere la propria firma in calce alla fine di un articolo. E per averla, siffatta firma, sarebbero forse financo disposti a metterci di tasca propria. Costoro, nella vita di tutti i giorni fanno i docenti, gli architetti, i farmacisti, gli avvocati, gli impiegati di concetto: per "hobby" scrivono. Pensateci un attimo: se io devo farmi progettare una casa, non vado da un giornalista, cerco, ovviamente, un architetto. Ecco perché sarebbe logico che un "pezzo" su un rimpasto di Giunta, o su un incidente stradale, non lo scrivesse un architetto (o un farmacista, o un impiegato e via discorrendo), bensì un giornalista. E per giornalista non intendo chi ha solo il tesserino di pubblicista (magari guadagnato scribacchiando ricette di cucina su un foglio parrocchiale: sempre senza intenti offensivi nei confronti di chi prepara gustosi manicaretti e dei fogli parrocchiali), ma un professionista dell'informazione. Il problema, quindi, cara Alessia, non è il giornalista che diventa salumaio, ma semmai il salumaio che vuol fare il giornalista... Perché fin tanto che prolificheranno «hobbysti» e «giornalisti della domenica», gli editori (che rimangono la nostra vera controparte, non lo si dimentichi) avranno vita fin troppo facile nel fare accettare tariffari da fame.
Miiiiiiii quella gran gnoccona della Alessia???
Alla grande (o "to the great" visto che sei inglese)...
bacio, cerca di star bene.
Nicola Baldarotta
Nicò, sempre allupato eh? Il lupo perde il pelo...
La miseria materiale può solo produrre miseria umana
Mi pare che su una cosa possiamo tutti convenire: c’è una condizione di oggettiva difficoltà per chi, nella nostra provincia, decida o ha deciso di fare il giornalista.
Vincenzo di Stefano, con la solita chiarezza, ha tratteggiato la questione nelle sue «degenerazioni» più plateali, oltre che perniciose.
Vorrei però partire da un’altra questione, nella speranza di non apparire veniale. Citando Luigi Einaudi là dove dice che «La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica».
Senza alcuna parafrasi, possiamo altrettanto dire che «la libertà economica è la condizione necessaria della libertà giornalistica».
Non è certamente solo un problema di soldi, ma mi chiedo – e vi chiedo – quali margini di agibilità operativa, volendo fare un esempio concreto, può avere un cronista se, lavorando ad una inchiesta e dovendo spostarsi da una città all’altra, debba pagarsi la benzina per l’auto, le telefonate, il pranzo e via dicendo ?
Quale agibilità operativa può avere un cronista che, pagato 5 euro a pezzo - come crudelmente ricorda Alessia Correra, senza che la cosa susciti se non scandalo almeno vergogna – debba poi pagarsi una connessione ad internet, un computer, un fax, una stampante, una fotocamera digitale, la carta, un cellulare, una banca dati a pagamento, cioè i più elementari strumenti di questo mestiere ?
Questa condizione di perenne precarietà, di perpetua miseria materiale, pregiudica, a mio modo di vedere, non solo l’accesso alla professione, ma la professionalità di chi, questa professione, decide di praticarla
Contrariamente a quel che si pensa e a come lo si pratica, questo è un mestiere che richiede molta «formazione». Non basta stare sulla notizia, arrivare per primi, dare «buca» alla concorrenza, scrivere due cartelle piuttosto che una «breve», pubblicare un particolare che altri non hanno: il problema è anche di forma. Come si scrive. Cosa si scrive. La proprietà di linguaggio. L’uso sapiente e consapevole della parola.
In una parola sola: qualità.
Questa qualità deriva innanzitutto da un bagaglio culturale personale, frutto di sedimentazioni scolastiche e di esperienza sul campo, meglio ancora se è la sintesi di uno specifico percorso formativo.
Deriva soprattutto da un continuo processo di arricchimento culturale che è fatto anche dalla lettura di giornali, riviste, libri. Dall’ascolto di musica. Dalla visione di film. Dalla possibilità di andare a teatro. Dai viaggi (da non confondere con le vacanze…) Insomma, da tutto ciò che è «cultura».
Per carità, non è un obbligo. E’ però una «condicio sine qua non» se si pretende – e dobbiamo farlo - qualità.
E allora, come si fa con 5 euro a pezzo, a comprare la quotidiana «mazzetta» dei giornali, e cioè dilettarsi nella cosa più piacevole che possa esserci per un giornalista la mattina, la lettura dei giornali ?
Come si fa ?
Eppure i più «tirano a campare». A detrimento non solo del ruolo, ma di ciò che si pubblica, e quindi della qualità dell’informazione. Ingenerando nei lettori un senso di sfiducia sull’autorevolezza dei giornali e quindi dei giornalisti.
Nei bar ascolto una frase ricorrente tra i lettori dei quotidiani: «Ma che caspita scrive questo..». Alludendo il più delle volte ad inesattezze, imprecisioni, plateali errori, svarioni grammaticali e lessicali, giudizi lapidari, povertà e banalità di linguaggio, spesso mutuato da quello parlato non per una esigenza di intelligibilità, ma perché non si hanno altre parole per scrivere quella notizia. Dietro questo disarmante scenario c’è il più delle volte sciatteria professionale, inadeguatezza culturale, ignoranza. Mancanza di metodo. E dunque di uno spessore culturale che possa, di riflesso, essere una garanzia per il lettore.
Non è forse la smentita, per un giornalista, la cosa nella quale non si vorrebbe mai inciampare ?
Dovrebbe essere così, ma la lettura dei quotidiani ci dice altro.
Non a caso Vincenzo di Stefano ha sottolineato come oggi scrive chiunque, assecondando quella che è una esigenza degli editori. Trovare qualcuno che scriva, che riempia uno spazio vuoto. Rinnovando, giorno dopo giorno, articolo dopo articolo, quel disagio che una efficace frase di Charles Baudelaire così descrive: « Non riesco a capire come un uomo d'onore possa prendere in mano un giornale senza un brivido di disgusto»
Il problema è, quindi, come si scrive. Cosa si scrive. E nel contesto siciliano - dominato dalla precarietà, raccontata, attraverso il filtro dell’esperienza personale da Alessia Correra e arricchita, da concreti esempi, dalle riflessioni di Vincenzo Di Stefano - la miseria materiale può solo produrre miseria umana.
Non basta però limitarsi alla radiografia dei problemi, abbiamo l’obbligo di indicare soluzioni, almeno per chi, non potendo o volendo trasferirsi a Londra, decida di galleggiare nello stagno siciliano:
Queste le mie:
1) Aprire, con una risolutezza che metta in pratica anche azioni eclatanti, una vertenza con gli editori (primi fra tutti quelli che editano «La Sicilia» e «Il Giornale di Sicilia») per l’applicazione dei minimi tariffari previsti dall’Ordine, ed avendo il coraggio di impedire l’uscita dei giornali con scioperi collettivi. Significa astenersi dal lavoro anche per giorni. La fattura dei quotidiani è, per il 90%, frutto del lavoro di collaboratori esterni. Nella speranza, ovviamente, che i crumiri della bisogna (spesso, nei dibattiti salottieri, i più rigidi moralisti nell’additare le colpe degli altri) abbiano un sussulto di orgoglio e scoprano il valore della solidarietà e del mutuo soccorso
2) Chiedere all’Ordine di evitare il «disordine», a cominciare da una ferrea applicazione dell’esclusiva professionale (legge professionale n. 69/1963, ndr)
3) Si chieda alla Fieg quello che la politica e la società civile chiedono in questi giorni a Confidustria in Sicilia. E cioè di espellere quegli editori che si servono del lavoro nero e sottopagato
4) Sollecitare la Guardia di Finanza (lo dovrebbero fare la Fnsi, l’Ordine e gli istituti di previdenza) ad effettuare i controlli nelle aziende editoriali. Sarebbe un primo passo se non per cambiare lo status quo, almeno per provarci.
Infine, a margine di queste riflessioni, mi sia consentita una digressione. Aver fatto la «salumara» - come confessa Alessia Correra – non è poi così lontano dall’arte dello scrivere. La scrittura, oltre che di accumuli, è fatta di tagli, ora sottili, altre volte spessi. Si può affettare un salame con la stessa perizia con la quale si «affetta» un’allusione. Si può incedere con la lama nella carne con lo stesso, inteso piacere con il quale vorremmo scrivere il nome di quel Capo Servizio che ha problemi lessicali….ma che Alessia, già ostaggio, evidentemente, della proverbiale flemma inglese, evita di rivelarci.
Nino Ippolito
Grande Nino, ottimo Vincenzo. Com'è che mi trovo sempre d'accordo con questi due al punto da ritenere più che misero ogni tentativo di aggiungere qualcosa a quanto da loro esposto? Mi unisco moralmente alle loro parole, senza per questo pretendere la doppia firma in entrambi i post - scusate la deformazione professionale, ma a volte anche questi sono innocenti escamotages per guadagnare qualcosa in più - e mi auguro che gli auspici di Nino Ippolito possano realmente concretizzarsi in toto al più presto. La desolazione sta sempre più prendendo il posto della passione per questo mestiere, questa professione, pardon, quella passione tanto sbandierata come atavica fin da bambini ai quattro venti...Avanza il giornalismo desolante...che consolazione.
Ad Alessia comunque l'augurio di una conferma costante da questa Londra tanto generosa.
Chiederei, cortesemente, un chiarimento a Vincenzo Di Stefano: cosa intende quando afferma "E per giornalista non intendo chi ha solo il tesserino di pubblicista, ma un professionista dell'informazione". Probabilmente lei si è spiegato benissimo ma io, essendo semplicemente pubblicista, non sono riuscita a capire. Gradirei, se possibile, ulteriore chiarimento anche nell'interesse di chi, come me, coglie più difficilmente di voi professionisti.
Saluti
Cara Annalisa,
anche un pubblicista può essere un «professionista dell'informazione». La mia non voleva essere una mera distinzione tra gli appartenenti ai due elenchi (per inciso: sia io che il collega Ippolito, «tenutari» di questo blog - siamo pubblicisti). Sottolineavo che la patente (la qualifica, la si chiami come si vuole) di giornalista dovrebbe essere consegnata solo a chi campa di questo lavoro, di certo non a chi scrive per hobby. Segnalavo che diventare giornalisti è oggi troppo facile: in nessun altro Ordine professionale si può entrare con tanta facilità. Il che - a mio avviso - non va affatto bene. Perché "deforma" il mercato, deprime (e mortifica) professionalità del lavoro giornalistico e qualità dell'informazione. Come evidenziato - icasticamente - nel suo intervento, da Nino Ippolito.
Caro Nino Ippolito, i giornalisti spesso fanno bei discorsi, spinti da abnegazione e forte senso del dovere etico professionale,(almeno questo è ciò che affermano),ma non sempre ciò che affermano, coincide con i loro più profondi pensieri, le loro paure e quindi con le loro azioni quotidiane. Questo in realtà è un atteggiamento tipicamente umano, non vale solo per la categoria giornalistica, e voi, essendo principalmente uomini e donne prima che giornalisti, non siete immuni a tali incoerenze. Premetto, mi pare doveroso, di non essere una giornalista, anche se qualche anno
fa, spinta da irrefrenabile narcisismo giovanile, e dalla voglia di vantare la mia firma in calce su un qualunque "bollettino parrocchiale", giusto per rifarmi a ciò che scrive Vincenzo Di stefano, ho anch'io collaborato per 5 euro a pezzo, ma ne avrei usciti il doppio di tasca mia, pur di scrivere.
In realtà scrivevo decentemente, ma non avevo la stoffa per diventare una professionista della comunicazione. Tuttavia, possedevo una qualità che molti bravi giornalisti non posseggono: un bel sedere, e credo, che se lo avessi opportunamente utilizzato, avrebbe potuto fruttarmi un bel pò di soddisfazioni, professionali, si intende. perchè all'interno di un qualunque contesto lavorativo, proliferano "abilmente", non solo ignoranti lecchini asservitori del potere, ma anche prostitute e prostituti morali.
Irrompo con questa colorita provocazione, contro imbarazzanti silenzi, di chi sa e non parla, di chi conosce e non dice, che sancisce la regola generalizzata del: chi si lamenta gode, ma non conclude mai un cazzo. Nel senso che, a mio avviso, non servono scioperi e movimenti di massa, quando ognuno di noi sa, in cuor suo, di essere vittima e carnefice del suo stesso compromesso con la vita. Credo che non si possa avere la presunzione di cambiare le cose quando non ci poniamo nella condizione di cambiare noi stessi per primi. Basterebbero infatti, permettimi un consiglio spassionato, piccoli accorgimenti da parte di tutti. Ad esempio, si potrebbero emarginare, (scusate tutti la cattiveria, ma un buon sano egoismo serve a difenderci dalle stupidità), tutti i giornalisti per hobby. Emarginarli, non significherebbe discriminarli, ma piuttosto respingerli ed in nessun caso agevolarli, non editando i loro pezzi, non passandogli informazioni, spegnendo così il loro entusiasmo sul nascere. Basterebbe, non raccomandare scribacchini annoiati o seducenti ragazzotte al conoscente caposervizio di turno (anche se è difficile dire di no ad un conoscente, che dopo ci è grato. Chi direbbe di no ad esempio, ad un medico affermato, che si è messo in testa di fare giornalismo, considerando il fatto, che tutti potremmo prima o dopo avere bisogno di un consulto, una visita specialistica, una via preferenziale per un esame o un ricovero ospedaliero?.
Si potrebbe creare insomma una sorta di lobby tra voi veri giornalisti,(lo fanno tutti in Italia: politici, medici, funzionari, e voi che siete più scemi? Ma una lobby liberale, fatta solo di meritocrazia e solidarietà tra tutti i veri giornalisti. Per veri naturalmente intendo, coloro che non svolgono altri mestieri, al di fuori del contesto, e che dedicano tutta la loro professionalità solo alla comunicazione. Anche perchè, diciamolo senza peli sulla lingua: un giornalista per hobby, può più facilmente rispetto agli altri, incappare nel compromesso morale e non trattare argomenti scomodi a sfavore dell'azienda o l'istituzione che gli fornisce da vivere. Oppure al contrario, può utilizzare il mezzo giornalistico, come mezzo di propaganda per scopi puramente personali, scadendo nel conflitto di interesse. Questo non è giornalismo. "Ma chi se ne frega - penseranno in molti - in Italia è consuetudine fare così: gli imprenditori ed i registi cinematografici fanno politica, e medici, docenti, panettieri e parrucchiere non possono fare i giornalisti?".
Infine concludo, rammentando una volta in cui, un giornalista molto furbo, mi disse, che non mi riteneva assolutamente idonea per fare cronismo. Ho seguito il suo consiglio, aveva ragione. Adesso, di tanto in tanto mi diverto ad esprimere qualche opinione, senza avere la presunzione di levare lavoro a nessuno.
Buona fortuna a tutti, giornalisti, aspiranti tali, e "giornalisti" per hobby. A questi ultimi vorrei precisare, di non avere assolutamente nulla contro di loro, ma piuttosto gli consiglierei di cercarsi altri passatempi, come lo sport, la collezione di farfalle o francobolli o di rendersi socialmente utili tramite il volontariato, tanto non è retribuito lo stesso.
Cara collega dal «bel sedere»,
ci eravamo imposti di non pubblicare i commenti anonimi. Tuttavia, visto che nelle tue riflessioni qualcosa di verosimile c’è (almeno nell’offerta del sedere…), mi è parso opportuno metterle sul blog. Però, mi chiedo, senza entrare nel merito di quello che hai scritto: come potremmo prendere sul serio quel che dici se non trovi nemmeno l’onestà intellettuale, il coraggio, l’orgoglio, di firmarti con nome e cognome ?
Come pensi di fare la morale ad altri o di criticare il comportamento degli altri se non hai nemmeno il coraggio delle tue idee ?
Se proprio non riesci a dirci nome e cognome, mandaci almeno la foto di questo «bel sedere». Sai, sono un fisionomista
Scusa l’irriverenza.
Saluti
Ma caro Nino Ippolito, non sarai mica un tantino misogino?
Comunque, ti perdono, ti perdono...
Bel Sedere
Cari Vincenzo e Nino,
questa mattina sono stato al telefono per più di un’ora con una giornalista professionista, laurea quinquennale in scienze della comunicazione, esame di Stato brillantemente superato, e corrispondente di un importante quotidiano siciliano intorno a cinque euro a pezzo!
Ho parlato con lei a lungo, di vari argomenti e fatti di cronaca. Ho registrato la sua intelligenza, la sua arguzia, la sua proprietà di sintesi e di sincresi, la sua visione del mestiere di giornalista ancora acerba ma concreta. Ho percepito le sue speranze di restare in Sicilia, a lavorare. Poi, però ho anche avuto chiara la sua consapevolezza di aspirare ad un sogno difficilmente realizzabile. Prima di chiudere le ho chiesto se mi stesse telefonando al cellulare dalla redazione, a spese del giornale: “magari!” Mi ha risposto. Chiamava da casa, spendendo una diecina di euro per poi, se ci usciva un pezzo, prenderne meno di cinque!
Mia figlia, la grande, fra qualche mese, dovrà decidere dove iscriversi, all’università, dato che è all’ultimo anno del classico. Essendo in buona confidenza con la penna ed essendo da due anni direttrice del prestigioso e premiato giornale d’Istituto “Fuoriclasse”, che provvede anche a generare graficamente, sta valutando la possibilità di iscriversi a scienze della comunicazione per fare la giornalista sul serio.
Dovrei esserne contento? Non dovrei?
Qualche anno fa, quando andavo in giro per la Sicilia per conto de “I Siciliani” a cercare i mafiosi e gli amici dei mafiosi per metterli in pagina, ero talmente ed incoscientemente ottimista da pensare che avrei fatto il giornalista per tutta la vita in Sicilia : ma non so se sono uno sfigato o uno che porta sfiga!
Dopo pochi anni I Siciliani ha chiuso.
Passando a L’Ora anche quello ha poi subìto la stessa sorte.
Fior di talenti come Michele Gambino, Graziella Proto, lo stesso Claudio Fava e quel magnifico idealista che è Riccardo Orioles, son dovuti emigrare per trovare lavoro.
Chi è rimasto libero, come Riccardo, oggi stenta a tirare a campare, producendo giornali come Avvenimenti prima e Casablanca oggi, che non trovano neppure sponsors pubblicitari perché non hanno riverenza per nessuno.
Ma avete notato che su quest’isola ogni tentativo di far funzionare un giornale indipendente diverso da Ciancio e Ardizzone dura da natale a santo stefano?
Le regionali de La Repubblica non escono in Sicilia orientale perché i vari Ciancio hanno posto il veto.
E’ vero che troppa gente pretende di scrivere e troppa gente scrive. Di buono c’è che presto (fatti salvi,spero, quelli che già lavorano) la laurea in giornalismo sarà un obbligo per accedere alla professione. Così finalmente ci sarà una distinzione netta tra il giornalista (qualificato e preparato professionista) e lo scrittore (che è “semplicemente ed istintivamente”,un’artista).
Quelli che per campare, come me, da anni hanno smesso di fare i giornalisti professionisti e scrivono per hobby, magari vorrebbero smettere, ma non ci riescono. Per questo scusaci, Vincenzo. ( E ti giuro, lo dico senza ironia).
Perché quando smettiamo di assumere sostanze tossiche, il nostro organismo continua a produrre antitossine che, non trovando le tossine da neutralizzare producono squilibri che ci fanno stare male.
E star male, non ci piace.
nino tilotta
Caro Nino (Tilotta).
Circa tua figlia, io un tentativo di dissuarderla lo farei: se poi non funziona, be', almeno informala (se già informata non è) su cosa l'aspetta...
La questione relativa all'accesso alla professione, invece, sarà argomento di un prossimo post: rimandiamo a quel momento la discussione, giacché trattasi di materia ardua (e scottante) da affrontare.
Intanto grazie per il tuo contributo.
Condivido, confermo e sottoscrivo le riflessioni (vangelo!) di Vincenzo e Nino, riguardo all'inflazionamento della professione. Ma da quand'è che sapete leggermi nel pensiero? :D
Sono davvero felice per Alessia e per la sua nuova vita.
Ale', ho sempre pensato che, a dispetto del sesso, hai le palle. Quando ripassi dalle parti nostre, facciamo una rimpatriata.
Posta un commento